mercoledì 26 febbraio 2014

Un "mito" per dei "cenci" senza ricetta

 
Domenica scorsa era stato indetto l'annuale Pranzo di Carnevale in famiglia.
Mamma: "Vai a prendere Il Cucchiaio d'Argento vecchio (n.d.r. ne abbiamo due edizioni).
Giulietta: (incredula) "La ricetta dei "cenci" è lì"?
Ottengo un laconico, quanto inaspettato "Si"
Azzardo un timido e sorpreso "Non lo sapevo..."
Prelevo dalla libreria il "sacro testo", scorro l'indice, lo apro alla pagina giusta e lo deposito su un piano della cucina.
La vedo avvicinarsi distrattamente al volume e scatta l'ordine: "Dov'è la farina"?
Da esperta "assistente ferrista", l'avevo già preparata sul tavolo fin dalla sera prima.
"E' lì" ed accompagno queste due sillabe con un timido accenno dello sguardo. So di trovarmi in un frangente cruciale della vita familiare. Tutte le preparazioni del pranzi "ufficiali", lo sono. Momenti che non ammettono  parole inutili.
"Dove sono le uova"?
La domanda, apparentemente innocua, nasconde una vecchia polemica fondata sull'irritazione che le procura l'idea che modernamente si usi distinguerle in piccole-medie-grandi.
Celando a mala pena lo stress, rispondo: "Sono quelle".
"Il burro...ammorbidiscilo".
E qui ammetto la mia defaiance, non ci avevo pensato.... Ma non era lei che doveva pensare a fare i cenci?
Inserisco per qualche momento il panetto di burro nel microonde.
"La fecola, c'è"?
"E' qui". Estraggo dal pensile due scatole: una quasi al termine, l'altra nuova.
La vedo afferrare con decisione una grossa ciotola in plastica e versarvi una quantità X (abbondante) di farina. Ad essa aggiunge tutto il contenuto del pacchetto di fecola aperto, oltre ad una buona sventagliata di quello del nuovo.
Apre il panetto di burro, debitamente e con maestria (modestia permettendo ;-) da me ammorbidito, e ne taglia alcuni tocchi (quantità Y).
Con i polpastrelli lo mischia alla farina. Quasi il "briciolame" della frolla ma il quantitativo di burro è assai inferiore a quello necessario per quella preparazione.
- "Zucchero" - ordina "il chirurgo".
Ed io, da umile e silenziosa "passaferri", apro la scatola Tupper che in casa nostra, da anni, contiene lo zucchero semolato.
Sventaglia a casaccio anche quest'ultimo ingrediente sull'impasto. Una misura Z che non saprei quantificare ma non è grande (del resto le chiacchere/bugie/frappole/cenci, non sono molto dolci....); poi "il chirurgo" preleva un "pizzicone" abbondante di sale e, a seguire, apre tre uova aggiungendo l'intero contenuto di due ed il solo tuorlo del terzo.
Impasta, con sicurezza e decisione, utilizzando i guanti in lattice (da chirurgo, appunto ;-)
- "Vino bianco.....marsala", ordina.
E quanto chiesto compare magicamente sul tavolo di lavoro tra le sue recriminazioni fatte di "Io non so più dove sono le cose" (Sappiatelo: non è vero, tutta sceneggiata ;-)
Continua ad impastare. Ne esce un panetto vellutato, di colore giallo paglierino, molto morbido ma non appiccicoso.
Lo copre con un panno  leggermente inumidito e mi spedisce al Carrefour a comprare lo zucchero a velo del quale, nel frattempo, avevamo scoperto di essere sfornite.
Rapida "fuga" in motorino e al ritorno comincio a scaldare l'olio mentre lei, con l'aiuto  del mattarello, stende una prima parte del panetto, per poi impugnare la rotella e tagliare i "cenci".,
Da sempre l'incarico di provvedere alla frittura di questi dolci di cìCarnevale è mio ma non crediate che anche questa attività, non dia luogo a battibecchi: "il chirurgo"  sostiene, infatti, che io sia troppo lenta e devo difendere la pentola per evitare che nell'olio profondo cadano un numero eccessivo di cenci ormai tagliati. Il suo obiettivo sarebbe quello di liberare il piano di lavoro il prima possibile per tagliarne altri.
Comunque arriviamo in fondo al lavoro con il sorriso: troneggia sul tavolo un bellissimo vassoio colmo di "cenci"
Lei lo osserva e mi interroga: "Saranno troppi"?
Mi astengo dal farle notare il quantitativo (che non conosco) di farina utilizzata...
.
Ora - sappiatelo - per capire ed avere una traccia del lavoro che ho visto compiersi dinanzi ai miei occhi, ho dato una scorsa alla ricetta contenuta sulla pagina de Il Cucchiaio d'Argento....Non so quale parentela vi sia tra il lavoro visto in pratica e la ricetta letta in teoria, perché quest'ultima non indica, tra gli ingredienti, la fecola e parla di 500 g di farina, mentre "il chirurgo" ne ha usata un tot, indecifrabile data la velocità con la quale ha operato, aggiungendo un quantitativo non meglio identificato di fecola, tanto che, anziché un uovo ed un tuorlo, ne ha utilizzate due...e un tuorlo.
Non parliamo, poi, del marsala che ho visto scorrere a fiumi (almeno, questa è stata la mia sensazione) mentre nel testo scritto non ve n'è cenno alcuno.
Allora?
Allora, solo quando avrò la possibilità di provare a fare i cenci con le mie mani, vi saprò dire le quantità dei vari ingredienti.
Per adesso seguite voi, che lo potete fare, la traccia che vi ho dato. 
Il "cencio" resta "regno" di mia madre la quale, oltre a non voler cedere il know how, si trova nella condizione di non poterlo cedere perché..."si fa a occhio"!
Il risultato è ottimo, come ci si arrivi è frutto di quell'esperienza che tutti gli amanti della cucina appartenenti alla mia generazione non hanno perché siamo abituati a pesare tutto.... e questo è proprio ciò che "il chirurgo" ci contesta!

n.d.r.
1) Ho raccontato questo interno di vita familiare affinché ne resti traccia indelebile: un giorno non lo avrò più.
2) Il minimo che ci guadagno è l'essermi segnata, a futura memoria, gli ingredienti ;-).
2) Alla odierna ed apparentemente ingenua domanda: "L'altro giorno, quanta farina avrai usato"?
la risposta è stata: "Che ne so...ho fatto a cucchiai poi, dopo un po', mi sono stufata e ho detto basta" :-D
 
...Un mito!
 
la cedo in cambio di una più docile e dolce ;-)










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