giovedì 28 novembre 2013

Pasta e fagioli, polpo e cozze


La moda colpisce anche la cucina ed in questo momento, se girate per ristoranti che cucinano il pesce, potreste avere un incontro ravvicinato con la pasta e fagioli.
Cosa c'entra il pesce?
C'entra perché la pasta e fagioli, da sola, è un piatto di tradizione ma se ci aggiungete il pesce, secondo equilibri ben strutturati, avrete un primo piatto davvero cool.
Insomma è accaduto che un parente che abita fuori Genova, invitato a cena, chiedesse le trofie al pesto (che peraltro mangia ogni volta che gli capiti di varcare la soglia di casa nostra) e che io, un po' stufa della ripetitività, abbia messo sotto il naso della cuoca (in questo caso mia madre) questa ricetta di pasta e fagioli...con il pesce.
Reazione immediata e priva di ogni possibilità di replica: "No, vuole il pesto!".
Già avevo messo in preventivo la risposta, dunque, nulla di nuovo sotto....le luci di casa.
La sorpresa, però, mi attendeva a distanza di 36 ore.
Stavo guardando la TV quando, all'improvviso, sento "la cuoca" in avvicinamento soave al mio fianco, si siede sul divano e pronuncia le seguenti storiche parole: "Ho pensato che potremmo dare il pesto come antipasto (sic!) e poi fare quella pasta e fagioli che mi hai fatto vedere".
Ihihiihihihihihihih....ho ghignato e riso sotto i baffi come raramente mi accade ma mi sono trattenuta dal mostrare cotanta esultanza e, palesando una finta indifferenza, ho risposto: "beh, se vuoi, potremmo...".
Godooooo....ancora adesso per la mia strepitosa vittoria e hanno goduto anche gli invitati che, dopo aver degustato qualche fettina di pane accompagnata dal...pesto genovese, hanno decantando la bontà di questa zuppa definendola "meritevole di repliche".
Trallallero, trallallà....non stupitevi se mi doveste vedere, in giro per la città, saltellante come i bambini!
Non è questione di rivincita sul naturale e da me ben conosciuto atteggiamento competitivo di una mamma che è sempre stata un'ottima cuoca pur affermando "ma no, io non sono capace"; quanto piuttosto il desiderio di coinvolgerla nel progetto di questo blog.
Tanto per dirne una, la ricetta della "ricciola all'acqua pazza", esclusiva opera sua, è il post in assoluto più cliccato. Non c'è concorrenza alcuna con altri, anche dedicati ai dolci.


Pasta e fagioli, polpo e cozze

Ingredienti
(per 4 persone)

150 g fagioli cannellini
100 g fagioli borlotti
600 g polpi di piccole dimensioni
750 g cozze
100 g pomodori
200 g paccheri (io all'uovo)
aglio
sedano q.b.
olio

Dopo averli messi a bagno dalla sera precedente, cuocere separatamente i cannellini ed i borlotti e metterli da parte, conservando anche la loro acqua.
La cottura dei fagioli dovrà avvenire a fuoco bassissimo per evitare che si spacchino.
Pulire attentamente le cozze e porle in una pentola nella quale sia stato preventivamente versato un po' di olio ed aggiunti due spicchi di aglio, un rametto di prezzemolo ed una spruzzata di vino bianco. Chiudere la pentola con il suo coperchio e porla sul fuoco a fiamma moderata. 
Quando le cozze saranno aperte, attenderne il raffreddamento e, quindi, eliminare le valve e conservare tanto i molluschi i molluschi che la loro acqua di cottura. Quest'ultima servirà per insaporire la zuppa.
Mettere i polpi in una pentola con acqua fredda e porla su fuoco bassissimo. Portare a cottura anche questi. Quando saranno teneri, spegnere il fuoco, lasciandoli raffreddare nella loro acqua.
In  una casseruola in terracotta o in ghisa preparare un soffritto con uno spicchio di aglio, un pochino di sedano tritato e i pomodori spellati e tritati.
Eliminare l'aglio ormai rosolato ed unire i 2/3 dei fagioli cannellini per portarli ad ulteriore cottura sino a creare una crema.
Allungare quest'ultima con alcuni ramaioli del brodo di polpo e dell'acqua di cottura delle cozze, continuando a far sobbollire il composto per 20 min. circa o, comunque, sino ad ottenere una crema semidensa.
In separata pentola portare ad ebollizione l'acqua debitamente salata, per cuocere i paccheri. Scolarli quando sono ancora al dente e unirli alla crema di cannellini.
Nel frattempo scolare il polpo e tagliarlo a pezzi.
Unirlo alla crema, aggiungendo anche le cozze, i borlotti, i rimanenti cannellini interi ed i paccheri.
Far bollire ancora per qualche minuto per consentire ai sapori di amalgamarsi e servire con l'aggiunta di un giro d'olio. 

n.d.r.
è chiaro che la giusta consistenza della minestra di fagioli va regolata secondo l'esperienza ed il gusto personale.
E' un piatto veramente saporito e goloso.
Un saluto da Giulietta

 

 


mercoledì 20 novembre 2013

Stufato vegetale


Quell'astuccio a più piani, di colore blu con gli intarsi rossi ed una chiusura metallica, mi aveva proprio affascinata. Troneggiava nella vetrina della cartoleria posta nei fondi di un palazzo vicino alla villetta dove alloggiavamo ad Abbadia S. Salvatore.
Una miriade di matite disposte nella gradazione delle diverse tonalità dei colori, un righello, una squadra, spazi dove inserire la biro blu e quella rossa, una gomma per cancellare nuova fiammante insieme ad un nuovo temperino e due matite da disegno. Ecco ciò che avrebbe fatto sognare qualsiasi alunna delle scuole elementari
Tutte le mattine, quando passavo dinanzi al negozio per andare a comprare quel pane toscano profumatissimo ed appena uscito dal forno, il cui sapore non sono mai più riuscita a trovare, l'astuccio mi strizzava l'occhiolino ed io rimanevo incantata a guardarlo con il naso contro la vetrina.
Il nuovo anno scolastico sarebbe iniziato di lì a poco e sognavo di poter "ingombrare" il mio banco con tutta l'attrezzatura contenuta in quel fantastico "borsotto" in finta pelle ;-)
Un giorno, approfittando della presenza di mio padre, sempre disponibile a venire incontro ai miei desideri, "inoltrai regolare domanda di acquisto" ;-)
Mi venne risposto che da lì a poco avrei iniziato la V elementare, dunque ero grande e quell'astuccio avrebbe avuto un'utilità scarsissima, visto che alle Medie non sarebbe servito.
Vedendo la delusione segnarmi il volto, mio padre, che era laureato in economia e commercio ;-) mi propose una soluzione.
Forse proprio nell'ottica di rendermi autonoma mi invitò a condurre una trattativa con la commerciante e mi spiegò come condurla. E' evidente come una cosa simile fosse possibile solo in un piccolo paese dove la conoscenza degli uni con gli altri era facilitata da anni di frequentazione del luogo.
Con il battito cardiaco accelerato, andai dalla negoziante e, mettendo sul banco una prima piccola somma di denaro che evidentemente avevo, le chiesi di lasciarmi da parte quel meraviglioso astuccio che, con il tempo, avrei acquistato pagandolo poco per volta.
E' così che nel volgere di alcune settimane, grazie a qualche regalia di nonni e a qualche paghetta per lavoretti fatti, divenni la felice e soddisfatta proprietaria di quel favoloso astuccio che, come mi era stato preannunciato,....mi servì pochissimo! :-D 
Questo è solo uno tra i tanti ricordi che Serena del blog "Pici e Castagne" ed originaria di quei luoghi, ha fatto riemergere con la sua proposta per l'MTC del mese di Novembre.
Aggiungo,, infine, un ultimo ricordo di natura culinaria.
Tutti gli anni, in occasione del suo compleanno che cadeva il 20 agosto, mio padre, acquistava alcune cassette di peperoni rossi e gialli e tra gli sbuffi ed i lamenti di mia madre, li arrostiva, li spellava, li tagliava a striscioline, li condiva con olio, sale, pepe ed un goccio di aceto e si recava ad offrirli, in accompagnamento ad una fettina di quell'ottimo pane di cui ho parlato, agli avventori del "bar della Colonia", vicino a casa.
In pratica aveva istituzionalizzato una piccola sagra, della quale si giovavano anche i gestori dell'esercizio commerciale in questione visto che, consentendo l'allestimento del bancone per la distribuzione, divenivano automaticamente anche i fornitori delle bibite e delle birre necessarie al festeggiamento.
Ad "Abbadia" e a "Piano" (Piancastagnaio), luoghi che mi sono cari per le persone che mi sono state care, dedico questa ricetta per l'MTC n. 34. 
Si tratta di uno stufato semplice, rapido e saporito che accompagna bene anche salsiccia o cotechino.

Stufato vegetale

Ingredienti:
800 g castagne
120 g pancetta dolce
100 g funghi prataioli (io, porcini)
100 g carote
100 g zucchine
1 cipolla
burro
brodo vegetale q.b.
salvia
timo
prezzemolo
sale
pepe

Pulita e tritata la cipolla, farla sudare a  fuoco bassissimo, in una pentola nella quale, in precedenza, sia stato fatto sciogliere del burro. Unire qualche foglia di salvia ed un rametto di timo.
Quando la cipolla sarà tenera, aggiungere la pancetta tagliata a cubetti e proseguire la cottura in modo che il grasso si sciolga lentamente.
In questa base, far rosolare, per circa 10 min., le castagne aiutandosi, eventualmente, anche un po' di brodo.
Nel frattempo pulire e tagliare a rondelle una carota ed aggiungerla nella pentola continuando la cottura per altri 10 min.
Mondare i funghi ed unirli allo stufato già in cottura, servirsi del brodo se ritenuto necessario. Spruzzare con il prezzemolo.
Unire, infine, alcune rondelle di zucchina, tagliata non troppo sottile. Far stufare ancora per qualche minuto aggiustando con sale e pepe. E' meglio spengere il fuoco quando  la zucchina è ancora leggermente croccante visto che proseguirà la cottura anche a gas spento.
Ottimo e saporito contorno anche per salsiccia e cotechino.
Alla prossima.
Giulietta
 
Anche con questa seconda ricetta partecipo all'MTC del mese di novembre 2013
 

 

domenica 17 novembre 2013

Monte di castagna dal cuore meringato.

 
Non ricordo a che età cominciai a trascorrere i tre mesi estivi ad Abbadia S. Salvatore, paese  sulle pendici del Monte Amiata. 
Nella mia memoria c'è l'immagine sfuocata di un piccolo appartamento in una palazzina affacciata su una piazza dove, per la festa dell'Assunta, arrivavano giostrai e giostre oltre ai banchetti del mercato che poi invadevano via della Pace.
I ricordi diventano più nitidi quando ci trasferimmo nella casa di proprietà di un fabbro e della sua famiglia, situata quasi alla fine del paese, là dove la via Hamman, all'altezza di una chiesa posta sulla  sinistra e di un piccolo boschetto di proprietà privata, sulla destra, cominciava a salire verso la vetta del monte.
Dovevo già essere grandina perché ricordo la presenza di entrambi i miei fratelli che, nel frattempo, erano nati.
Da quella casa comincia la storia delle mie prime esperienze di autonomia e libertà, magari un po' "vigilata" ma era la libertà di una bambina.
In quella casa, come regalo dei miei compleanni, nel tempo ho ricevuto la prima bicicletta, la prima racchetta da tennis, il primo paio di pattini.
Un lato del giardino della villetta si affacciava su una delle poche strade pianeggianti del paese ed è lì che mio nonno mi ha insegnato ad andare in bici; è da lì che ero autorizzata ad allontanarmi per andare a giocare a tennis, a scorrazzare sulla pista di pattinaggio o ad incontrare i miei coetanei nell'allora "bar della Colonia", con il cortile del quale la villetta confinava. 
E' in quell'attrezzatissimo bar che ho acquistato autonomamente i primi ghiaccioli, ho speso i primi soldini, cautamente centellinatei dalla mamma o dal papà, per giocare a flipper e a "biliardino", ed a cantare i successi dell'estate, come "Lisa dagli occhi blu", che gli adolescenti del momento riproducevano all'infinito inserendo monete nel jukebox.
In poche parole, ad "Abbadia" ho sperimentato la libertà, un dono che ricevevo solo in estate.
E' per questo che facevo fatica a comprendere gli sguardi un po' persi di coloro ai quali dicevo che in vacanza sarei andata ad Abbadia S. Salvatore. A loro, quel nome non diceva nulla, non era un posto noto.
Certo, si trattava di un paese lontano dalle abitudini dei liguri ed  anche segnato da un'economia povera; aveva un "PIL" costituito soprattutto dal lavoro di coloro che faticavano nelle miniere di mercurio e, nei mesi estivi, dalla presenza di villeggianti, soprattutto di provenienza romana.
Così come povero era Piancastagnaio, piccolo paese a 5 km di distanza, luogo di nascita di ben due delle "tate" cui, in quegli anni, venne affidata la cura mia e quella dei miei fratelli.
La prima di loro aveva capacità organizzative grandissime e sapeva cucinare molto bene. A Genova trovò l'amore e da allora vive a Varazze dove ha avuto tre figli, uno dei quali fa il cuoco.
La seconda era una ragazza molto cara che mi ospitava in camera sua a guardare Canzonissima, quando, durante i mesi della "prigionia" invernale, i miei genitori non volevano che andassi a dormire tardi.
"Abbadia" e "Piano", due paesi resi verdi dai boschi di castagno i cui frutti arrivavano troppo tardi perché anche noi potessimo goderne appieno. Il 30 settembre, infatti, eravamo costretti a far ritorno alla realtà per l'inizio della scuola.
Insomma, l'MTC di novembre ha scatenato una marea di ricordi. Una marea resa attiva da Serena, originaria di Piancastagnaio e titolare del blog "Pici e Castagne", la quale, anziché proporre una ricetta cui apportare le più disparate variazioni, ha posto a tema un frutto, la castagna, da elaborare secondo la propria fantasia e sulla linea del piatto povero.
Sarà forse perché legato a momenti di difficoltà (la guerra), che mia madre non ama molto questo
frutto ed in casa siamo privi di ricette di tradizione. Ho così provato ad elaborare varie ricette dolci con la castagna ma la frequente indicazione di accoppiamento con cioccolato o caffè, non mi hanno dato grande soddisfazione perché tendenti a coprire, più che ad esaltare, il sapore di questo frutto.
Un'unica tradizione, in casa, ha avuto spazio: il "montebianco", ma solo perché mi sono fatta personalmente carico della sua faticosa elaborazione.
Dunque  ho scelto il "montebianco" affinché la presenza della castagna si distinguesse con decisione.
Ho, però, ammodernato il soffice accompagnamento costituito dalla panna zuccherata, sostituendolo con una meringata.
Volendo seguire almeno la richiesta di utilizzazione di una tecnica tradizionale, ho rinunciato alla meringa italiana, per servirmi di un normalissimo albume montato con lo zucchero.
Diciamolo, mia madre ricorda meringhe realizzate anche dalla sorella di suo nonno; in ragione di ciò penso di poter dire che...le meringhe erano già conosciute negli anni '30 e '40 e sono un dolce tradizionale.
Potrebbe anche essere che questo dolce non sia totalmente aderente al tema del mese ma penso di aver raggiunto il mio scopo: l'ingrediente castagna, aveva tutto il sapore che deve avere la castagna! E sentir dire la parola "fantastico", da familiari pronti alla critica, non ha prezzo!
 
Monte di castagna con cuore meringato

Ingredienti:
per 6 persone e uno stampo da cm 20

Partenza con
230 g albumi (da uova fresche)
460 g zucchero semolato

con i quali realizzare               
1 disco di meringa diametro cm 20
50 g meringa polverizzata
300 g meringa a crudo
350 g panna

Inoltre:
1 kg di castagne
100 g zucchero semolato
mezza bacca di vaniglia
250 ml latte
1 bicchierino di rhum
zucchero a velo

Dedicarsi alla meringa.
Preriscaldare il forno a 90° in modalità ventilata.
Iniziare a montare gli albumi. Quando cominciano ad essere montati, aggiungere lentamente lo zucchero e montare...montare...montare.
Direte: ora basta! No, continuate...continuate...continuate.
Ora basta!
prelevare 300 g di meringa cruda e metterla da parte.
Ricoprire una teglia con la carta forno e, con l'aiuto di un sac a poche oppure con un cucchiaino, formare le meringhette utilizzando il resto del composto.
Su un altro foglio di carta forno, disegnare con una matita un cerchio del diametro di cm 20, rovesciare il foglio e, seguendo la linea tracciata che traspare dal di sotto, utilizzando il sac a poche, circoscrivere un primo cerchio al quale far lentamente seguire una spirale che si stringe sempre di più verso il centro. Spatolare leggermente il disco creato. 
Infornare le due teglie per tre ore...e anche un po' più a lungo. Spengere il forno, lasciando le meringhe all'interno.
 
Una volta che le meringhette saranno fredde, polverizzarle servendosi del mixer. Volendo uno sfarinato più sottile, setacciare la polvere ottenuta con il mixer.
Unire questo sfarinato, alla meringa a crudo.
Montare la panna senza dolcificarla ed unirla con delicatezza e movimenti dal basso in alto, al composto di meringa.
Posizionare un disco di metallo del diametro di cm 20 al centro di piatto da torta, accertandosi che resti abbondante spazio vuoto all'esterno. Inserire all'interno del cerchio il disco di meringa cotta e versarvi sopra l'insieme di meringa e panna. Riporre tutto in congelatore per almeno 36 ore. 
 
Il giorno stesso in cui serve il dolce, mettere a bollire le castagne per 40 min. in acqua leggermente salata, alla quale sia stata aggiunta qualche foglia di alloro.
Una volta cotte, sbucciarle e spellarle.
Raccogliere le castagne in una pentola insieme al latte, i semi di vaniglia e lo zucchero e farle cuocere ulteriormente sino a renderle morbide, cercando anche di schiacciarne la polpa con l'aiuto di una forchetta.
Quando il composto sarà piuttosto asciutto e. poco prima di togliere l'impasto dal fuoco, versare il rhum e mescolare.
Creare i classici "vermicelli" servendosi di uno passaverdure o passapatate e raccoglierli in una ciotola.
Estrarre la meringata dal congelatore, eliminare il cerchio in acciaio, pareggiare gli inestetismi che potrebbero crearsi in conseguenza di questa operazione e ricoprire il dolce con i "vermicelli" di castagna.
Spolverizzare, a piacimento, con zucchero a velo, da solo o con l'aggiunta di un cucchiaio di cacao in polvere.
Portare in tavola
 
n.d.r.:
a) Anche con questo procedimento, benché sin da subito morbida, la meringata ha tuttavia retto bene sino ad integrale consumazione. La prossima volta proverò ad utilizzare la meringa italiana e penso che il composto dovrebbe risultare un po' più sostenuto. 
b) E' vero che questo dolce è un po' laborioso ma si può realizzare in giorni diversi, tenuto anche conto che le meringhe, una volta cotte, possono essere conservate tranquillamente...sempre che riusciate a sottrarle alla golosità degli astanti.
c) La verità è che ho molto sofferto per realizzare la purea di castagne. Queste ultime, infatti, non ne volevano sapere di raggiungere quella morbidezza idonea a passare attraverso i fori del passaverdure. Sarà anche che io ho poca forza nelle mani ma, dopo un po' di sconcerto, ho visto il mixer che mi "stringeva l'occhiolino" e gli ho "dato in pasto" tutte le castagne. Ho azionato e ho utilizzato il passaverdure per ridurre in "vermicelli" l'impasto che avevo ottenuto con il suo aiuto.  
d) la foto ha il limite di essere stata realizzata in tutta fretta, un attimo prima che l'ultimo pezzetto di dolce sparisse!






Con questo dolce partecipo all'MTC del mese di novembre 2013...e non escludo di partecipare anche con una ricetta salata, prossimamente su questi schermi.





















 
 
 

lunedì 11 novembre 2013

Quale la differenza tra frolla e sablée? La mia tarte ai cachi.

 
Il colore giallo/arancio è caratteristico della stagione autunnale e questa volta la declinazione dolce è per i cachi.
Una tarte con una pasta sablée secondo le indicazioni di Alain Ducasse, alla quale ho aspportato modifiche per renderla un po' più rustica.
Come mi sono permessa? E' presto detto.
Lungo il percorso di "intrusione" nei blog altrui e, successivamente, di apertura e gestione del mio, mi sono imbattuta in una varietà pressoché infinita di sablée e frolle, ognuna declinata secondo disparati dosaggi di uova, burro, zucchero e farine della più diversa natura.
Ogni maestro pasticcere ne "inventa" una e la diffonde mediante libri, riviste o comunicazione TV e ciascuno offe una motivazione alla propria scelta richiamando esigenze di utilizzazione e di gusto.
Sono andata a cercare la differenza tra sablée e frolla e ho trovato indicazioni secondo le quali la prima avrebbe, fra gli ingredienti, una certa percentuale di farina di frutta secca (per lo più. mandorle), oltre allo zucchero a velo, agglomerati insieme dall'albume dell'uovo.
Nel tentativo di approfondire l'argomento, ho scoperto che Alain Ducasse usa l'uovo intero mentre Roux solo il tuorlo ma comunque parla di pasta sablée anche quando utilizza farina normale senza aggiunta alcuna di frutta secca. 
La differenza, invero, sarebbe lo zucchero: la sablée contiene zucchero a velo mentre la frolla quello semolato...ma Montersino chiama frolla anche la pasta realizzata con lo zucchero a velo e molto burro....ovvero chiama genericamente "frolla", la c.d. frolla fine.
Insomma un ginepraio senza fine che mi ha convinto del fatto che l'importante sia trovare un impasto che soddisfi il gusto personale e risulti utile alle proprie esigenze, adattandosi alla propria manualità.
La diversa denominazione tra questi due tipi di impasti trova origine soprattutto nella pasticceria francese, gli italiani tendono, comunque, a parlare di pasta frolla variamente declinata.
E' su questa scia che, avendo rinvenuto la ricetta di una pasta sablée di Alain Ducasse, ho deciso di modificarla per ottenere una pasta frolla friabile giacché personalmente nutro maggiore preferenza per quest'ultima rispetto a quella croccante. Inoltre non volevo rinunciare al sentore di mandorla.
Confesserò, avevo necessità di utilizzare una teglia per tarte con fondo amovibile del diametro di 30 cm che, evidentemente, mi avrebbe richiesto almeno 400 gr. di polveri (farina 00 e farina di mandorle); orbene le mie mani non riescono ad impastare in maniera adeguata una quantità di farina oltre il peso dei 250 grammi e dunque...vai di planetaria.
Raddoppiate le dosi e fatti gli opportuni adattamenti ho elaborato il seguente impasto per frolla:

Tarte ai cachi      

Ingredienti
per la frolla
450 g farina 00
25 g farina di mandorle pelate
25 g farina di mandorle sgusciate e non pelate
120 g zucchero semolato
50 g zucchero di canna integrale
240 g burro (a temperatura ambiente e molto morbido)
4 g sale fino
2 uova medie

per la farcia
1 kg cachi
100 g ricotta
zucchero
1/2 bacca di vaniglia
2 cucchiai di rhum
2 uova medie (80 g)

inoltre:
6 amaretti morbidi
30 g uvetta

Pasta frolla: Con l'aiuto di una spatola, mescolare il burro  sino a renderlo cremoso. A questo punto, aggiungere il sale, lo zucchero a velo, le due farine di mandorle e, servendosi della frusta a foglia della planetaria azionata ad intermittenza, cominciare ad impastare, Quando il composto sarà omogeneo unire le due uova insieme ai primi 100g di farina 00 setacciata e continuare ad impastare. Incorporare poco alla volta la farina rimanente al composto ottenuto, avendo l'accortezza di non scaldarlo troppo.
Trasferire l'impasto sulla spianatoia infarinata e lavorarlo brevemente sino ad ottenere una palla compatta ed omogenea. Fasciarla con la pellicola e farla riposare in frigorifero per due ore.
Rivestire lo stampo con la frolla e metterlo nuovamente in frigorifero a raffreddare.

Farcia: Pelare i cachi e raccoglierne la polpa in una ciotola unendo la ricotta, lo zucchero e la polpa di mezza bacca di vaniglia (o un cucchiaino di estratto). Con l'aiuto del frullatore ad immersione, mescolare gli ingredienti ed ggiungere il rhum. Servendosi di un cucchiaio in legno, incorporare anche le due uova leggermente sbattute in precedenza.

Assemblaggio: Preriscaldare il forno a 180°C. Prelevare dal frigorifero la teglia rivestita di frolla, coprirla con un foglio di carta forno e versarvi sopra i pesi in ceramica o i fagioli. Infornare il guscio per cuocerlo in bianco per circa 15/17 minuti.
Mentre la frolla sta cuocendo, sbriciolare gli amaretti.
A questo punto, sfornare e ricoprire il fondo del guscio con le briciole di amaretto e versarvi sopra la farcia.
Infornare per dieci minuti. Aprire il forno e spargere sulla farcia l'uvetta precedentemente ammollata. Portare a cottura lasciando il dolce in forno per altri 20 min. 
Sfornare e lasciar raffreddare la tarte.

n.d.r.
1) da NaturaSì ho trovato la farina fatta con le mandorle non pelate...Ora ci siamo: finalmente il sapore si sente. Affinché non risultasse eccessivo, ho mischiato i due tipi.
2) Ehmm, non sono stata pronta ad aggiungere l'uvetta al momento giusto e quando l'ho fatto, la farcia era ormai quasi del tutto solidificata.....
3) I sapori risulteranno maggiormente amalgamati se preparerete il dolce il giorno prima. Era ottimo anche il pezzettino avanzato il giorno successivo al pranzo del quale era stato il coronamento.
Giulietta













 



lunedì 4 novembre 2013

Pan brioche di C. Felder

 
Questa ricetta è un regalo di Alessandra, titolare della pagina "Ricette Orfane" su Fb: le ricette sono "orfane"  nel senso che lei le realizza e poi cerca un/una blogger "adottante" che renda possibile anche un confronto con quanto proposto.
Leggendo la richiesta di "adozione" per un "pan brioche" che avrebbe dovuto essere con "cannella e noci pecan", non ho potuto resistere all'impulso di offrire "maternità" ad un impasto  nato dalla tecnica di Christophe Felder, noto pasticcere francese, ben sapendo che se avessi centrato l'obiettivo, avrei ottenuto il beneplacito casalingo, ovvero un timbro autorizzativo all'occupazione della cucina perché, senza dubbio, proficua.
Ma una vera occupazione non è stata necessaria atteso che, a parte l'assemblaggio iniziale degli ingredienti, complice anche il dì di festa (1 novembre), mi sono quasi dimenticata di aver una "gravidanza" in corso.
Se infatti normalmente paragono la realizzazione dei dolci al cucchiaio, alla tecnica del "modellismo", osservare con pazienza la lievitazione di un impasto, mi richiama alla  mente l'immagine di una "gravidanza".
Tutto sommato è stato un "parto dolce" con qualche apprensione. Sin dalle primissime mosse, ho dato quasi per scontato che questo primo esperimento sarebbe stato solo un iniziale step di conoscenza reciproca mentre il raggiungimento della meta avrebbe reso necessari tentativi ulteriori.
Alla base della mia grande insicurezza c'era un'ignoranza di fondo: non sapevo e non avevo mai sentito parlare dell'utilizzazione del lievito di birra fresco, senza previo scioglimento in acqua o latte tiepidi.
Così, con questa "tara" iniziale, non ho creduto sino in fondo alla "lettera" della ricetta indicata su "Ricette Orfane" e, prima ancora, da Felder ed ho sciolto in pochissima acqua, la quantità di lievito indicata (g 10).
I primi giri di planetaria mi hanno immediatamente fatto comprendere quanto fossi fuori strada: quel poco liquido in più stava dando una consistenza del tutto inidonea all'uso cui l'impasto era destinato.
Ho portato avanti il lavoro ancora per qualche tempo (ma non troppo a lungo per non scaldare eccessivamente l'impasto che avrebbe dovuto accogliere, in finale, anche il burro) e poi mi sono decisa. La ricetta originale avrebbe richiesto 30 g di cannella che io avevo già messo in preventivo di non utilizzare e, dunque, avrei potuto sfruttare quella stessa poca quantità di "polvere" per inserire, con circospezione, altra farina.
L'impasto è rimasto comunque morbido, morbidissimo ma mi è apparso plausibile, anche se con qualche remora...
Ho aggiunto il burro e messo a lievitare in forno con lampadina accesa, dando per scontata la difficoltà (alias improbabilità) di lievitazione: ore 9,30!!!
Ho "armeggiato" ancora per casa, sono andata a Messa alle 11,00 e al rientro ho visto che "lui", l'impasto, aveva cominciato a crescere ma non potevo certo pensare a Felder: avevo il pranzo in famiglia per la festività dei Santi!
Alle 14,45 ho aperto nuovamente il forno e....sorpresa, "lui" era cresciuto ancora. Mi si è accesa una speranza alla quale ho dato fondo brandendo immediatamente il burro per ungere la teglia da cake e...riprendere la lievitazione.
Due orette abbondanti e l'impasto era di nuovo cresciuto sin quasi al bordo della teglia. Ho scaldato il forno, ho infornato e poi....ci siamo innamorati.
Perchè questo pan brioche è una sorprendente delizia per il suo equilibrio perfetto tra lo zucchero ed il sale, al quale il burro conferisce una consistenza fondente fantastica.
Ecco la ricetta:
 
Pan brioche di Christophe Felder
 
Ingredienti (per uno stampo da cm 28)
tempo di preparazione 20 minuti
tempo di lievitazione: dalle 3 ore e mezza alle 4 ore ma anche più.....
tempo di cottura: 20 minuti

g 250 farina - letteralmente: farine type 45 - farina speciale di forza (io ho usato una manitoba ma proverei anche con una 0)
30 g di zucchero
1 cucchiaino da caffè di sale
10 g di lievito di birra fresco
150 g di uova
165 g di burro a temperatura ambiente, tagliato a dadini
30 g di cannella in polvere di buona qualità (io non l'ho messa)
100 g di noci pecan grossolanamente tritate (io 100 g di uvetta)
1 uovo intero per la lucidatura.

Togliere il burro dal frigorifero, tagliarlo a dadini e fargli raggiungere una temperatura ambiente.
Versare la farina setacciata, lo zucchero, lievito a pezzetti ed il sale nella ciotola dell'impastatrice.
Fare attenzione affinché il sale ed il lievito non si tocchino. Il primo, infatti, interferisce con l'azione dell'agente lievitante.
Aggiungere le uova e impastare con il gancio, a velocità minima
Aggiungere il burro all'impasto e azionare l'impastatrice a velocità media fino a quando la pasta diventa liscia ed elastica.
Unire all'impasto la frutta secca (e la cannella e continuare ad impastare)
Sollevando con  una mano la pasta, questa non deve scivolare giù.
Lasciarla riposare per un'ora a temperatura ambiente.
Trascorso il tempo necessario, versare l'impasto sulla spianatoia leggermente infarinata e appiattirlo con le dita, per far fuoriuscire le eventuali bolle d'aria (che non saranno tantissime, causa la massa grassa dell'impasto che rende difficile la lievitazione.
Dare all'impasto la forma di un salsicciotto, tagliarlo in 4 pezzi uguali, dando a ciascuno la forma di un "bauletto" con i bordi al di sotto.
Sistemare i 4 pezzi in uno stampo da cake precedentemente imburrato ed infarinato. 
Quando il pane è ben gonfiato, spennellarlo con un uovo intero, leggermente sbattuto. Con le forbici, praticare poi un taglio su ciascun pezzo, in orizzontale, bagnando via via le lame in acqua fredda per evitare che si impiastriccino con l'uovo.
Infornare a 170°C per 20 minuti, controllando la doratura (nel mio forno, 170°C, modalità statica.
Lasciare intiepidire, prima di sformare.
 
n.d.r.:
1) In quella stessa sera, mentre il pane lievitava, complici anche la spensieratezza e la libertà dal lavoro di una giornata di festa, sono "incappata" in Montersino che, su "Arturo", forniva la ricetta dei krapfen e....ho visto con i miei occhi mettere nella planetaria il lievito di birra fresco a pezzetti...Ho detto tutto....ora mi sento molto ma molto più sicura dei mei prossimi "movimenti" ;-)
2) Potremmo dire che, a parte l'attenzione iniziale, questo pane richieda pochissimo impegno perchè l'importante è...dimenticarselo mentre lievita.
3) Ne consegue, in maniera lapalissiana, che le dosi per gli ingredienti di questa ricetta siano perfette
4)....e che anche Felder sia un mio "amico"... ;-)